umberto santino

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Nell’augurarvi un buon 2017, vi riproponiamo un articolo di Umberto Santino pubblicato su “La Repubblica-Palermo” del 27 dicembre 2016, con il titolo: Piccoli appunti sull’anno che se ne va

“Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Così si legge all’inizio del “18 brumaio di Luigi Bonaparte”, saggio storico di Marx, del 1851. L’autore, buon conoscitore della storia d’Italia, e lo era ancora di più Engels, gemello di studi e di rivoluzioni, non poteva pensare che le sue previsioni valessero anche per fatti e personaggi minori o insignificanti, e che non sempre assistiamo a un alternarsi di farse e tragedie, ci possono essere delle varianti che non consentono di fare distinzioni così nette e non è detto che la storia non sia, o non possa essere, una incessante replica di tragiche farse o di tragedie farsesche.
Negli ultimi anni in Italia ci è parso di avere toccato il fondo, con i bunga-bunga e le barzellette di Berlusconi, le slide e lo storytelling di un Paese immaginario di Renzi, entrambi aspiranti padri costituenti ed entrambi bocciati nei referendum. Eravamo già alla farsa che succede alla farsa, ma con il nuovo governo, concepito e partorito in tempi brevissimi, abbiamo assistito a qualcosa di inedito e di inaspettato.
In base a un nuovo principio: squadra che perde non si cambia, i principali responsabili della catastrofe del Sì sono stati premiati. Così Boschi, che aveva detto che se la riforma non passava si sarebbe ritirata a vita privata, e qualcuno ha pensato che volesse farsi monaca e pregare per la salvezza della banca paterna, è stata affiancata al presidente del Consiglio. Finocchiaro, che ha fatto da Sant’Anna alla giovane Maria, esercitando una sorta di maternage istituzionale, è stata premiata con il ministero alle riforme e ai rapporti con il Parlamento, come dire: il ritorno sulla scena del delitto. Madia, dopo l’ottima prova della riforma rispedita al mittente, rimane alla pubblica amministrazione. Fedeli dopo le scuole medie va all’Università. Lorenzin continuerà a soggiornare alle Asl. Il ministro ai voucher non poteva non essere Poletti che per festeggiare la recidiva si è esibito nello show sui giovani che vanno all’estero: ben gli sta, così si levano dai piedi! Alfano è andato anche lui all’estero e così potrà sperimentare il melange linguistico tra il girgentano e la gestuale parodia dell’inglese. Agli Interni è stato nominato Minniti, esperto di servizi segreti, come dire del meglio della storia d’Italia, che ha “sbagnato” l’incarico con l’esposizione delle immagini dei poliziotti che hanno inviato nel paradiso islamico un giovanotto noto a tutti i servizi ma a piede libero. Confermati tutti gli altri e promosso allo sport, con un occhio ai servizi, il renziano dalla nascita Lotti. In attesa di replay il buon Faraone. La novità è il ministero alla Coesione territoriale e al Mezzogiorno affidato a un De Vincenti, da cui si attendono grandi cose, come lo stop alle alluvioni, alle frane e ai terremoti, un bell’esempio di coesione ambientale.
Grazie allo sostituzione alla presidenza del Consiglio con un suo clone (il buon Gentiloni, rampollo di una gloriosa dinastia cattolico-reazionaria, rigeneratosi nelle acque del Sessantotto e riciclato nella tifoseria della Leopolda) Renzi si è ritirato a Pontassieve e, forte dell’inconsistenza della fronda nel suo partito, si adopera per riarmare le truppe dei fedelissimi e riconquistare palazzo Chigi. Il grande studioso Franco Cordero, che dispensa, vanamente, la sua saggezza, ha scritto che lo statista di Rignano ha pose mussolinoidi, ma è certamente un paradosso dettato dall’età non più giovanile di uno dei tanti “gufi e rosiconi” – secondo il fantasioso lessico renziano – in circolazione.
Accingendoci all’archiviazione del 2016, non possiamo non rileggere un vecchio testo leopardiano: il “Dialogo tra un venditore d’almanacchi e di un passeggere”. Chiede il passeggere: “Credete che sarà felice quest’anno nuovo?”. Risponde il venditore: “Oh illustrissimo, sì certo”. Anche noi chiederemo a chi ci promette mirabilia se possiamo aspettarci qualcosa di nuovo e di diverso. Qualche esempio: i tagliagole e i kamikaze della Jihad rinunceranno al califfato universale e faranno i fioretti per la pacificazione? Donald Trump rinuncerà alla presidenza degli Stati Uniti perché la Casa bianca rispetto ai suoi manieri è una spelonca? L’Europa cesserà di istigarci al suicidio in nome del pareggio di bilancio? Il Mediterraneo si aprirà per far passare profughi e migranti come il Mar Rosso per gli ebrei in fuga? Miracoli del genere accadono solo nella Bibbia… per chi ci crede. E passato il mare, come scavalcare i muri? Dio è onnipotente, ma non può fare tutto lui.
Cosa accadrà dalle nostre parti? Andremo a votare per le elezioni politiche o dovremo contentarci delle amministrative e aspettare il 2018? In Campania avremo ancora De Luca, teorico dello scambio voti-frittura di calamari, perseguitato dalla giustizia che non ha un’adeguata cognizione delle costumanze della Magna Grecia, e in Sicilia Crocetta, anche lui crociato del Sì, ci rallegrerà ancora con le sue variazioni di solista del Megafono? In attesa delle risposte, un rimpianto: Crozza ci mancherà.
Nell’album nazionale, l’immagine più significativa che ci lascia l’anno infelicemente scomparso è la cerimonia del passaggio della campanella a palazzo Chigi, che non ha visto il muso lungo del presidente uscente e il ghigno del nuovo presidente, non eletto da nessuno ma miracolato da un Capo dello Stato con un lontano passato di divoratore di bambini (ma ha dato segni inequivocabili di sincero pentimento). Tutto è andato per il meglio e l’uscente e l’entrante erano entrambi felicissimi. Erano, o sembravano, la stessa persona.E chi, ricordando il detto di Marx, cerca di interpretare la storia d’Italia, non può non pensare che la storia si ripeta, la prima volta come farsa e la seconda come bis.

Umberto Santino

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