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di Paolo Chirco

Peppino, 47 anni dopo: il suo sorriso e la storia che nessuno racconta.

Simbolo di una Sicilia che resiste, ricorda e lotta ancora, una dedica speciale a quella donna sconosciuta e madre silenziosa che ha camminato insieme a noi, in questo 9 maggio 2025, 47° anniversario dell’uccisione di Peppino Impastato.

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Questa non è solo la storia di un corteo. È il racconto di una donna anonima che ha scelto di ricordare Peppino con un figlio in braccio, con un futuro da costruire mentre il passato brucia ancora. E’ la storia della Sicilia che non si piega.

Come ogni anno, anche stavolta il 9 maggio ci ha chiamati.  Quarantasette anni dopo.  A volte mi sembra ieri, altre volte un’eternità. La folla è quella di sempre, un po’ più vecchia, un po’ più giovane, ma con la stessa fiamma negli occhi, con la stessa urgenza, la stessa rabbia sacra di quarantasette anni fa. Ritorniamo su quella strada che è sempre la stessa, lega due paesi, Terrasini e Cinisi, come un filo teso tra due ferite, invisibile ma incrollabile. Da una radio che parlava troppo, a una casa che ancora custodisce la voce di chi non volle tacere. Una strada che non è solo asfalto. È memoria. È battaglia. È speranza.

Lo facciamo da 47 anni. 

E ogni anno, sembriamo gli stessi. Ma qualcosa cambia. Una voce nuova, un volto che non c’era, un pugno che si alza, un passo che si aggiunge. Un compagno che ci lascia per sempre. Ci siamo raccolti, come un battito comune, davanti alla vecchia sede di Radio Aut, a Terrasini.  Camminiamo. Tutti insieme. Da lì, i nostri passi si sono intrecciati, uno dopo l’altro, lungo la strada per un ritorno a Cinisi, fino a **Casa Memoria**. Un ritorno alle parole di Peppino, che non invecchiano e parla ancora a chi sa ascoltare. Una marcia semplice, ma mai uguale. Con i volti di sempre, quelli che conosci per nome e quelli che incontri solo qui, ogni anno, con gli stessi occhi e la stessa determinazione, anche stavolta in tanti. Volti giovani, volti stanchi ma fieri. Voci che cantano, che gridano, che ricordano. Pugni chiusi che vibrano levati alti. Perché ogni volto, ogni voce, ogni sguardo nuovo, la rende unica.

 E le immagini raccontano più delle parole: 

ragazzi e ragazze delle scuole, striscioni colorati e i sindaci di tanti comuni con la fascia tricolore, i gruppi arrivati da ogni parte della Sicilia, e da ancora più lontano. Ed in testa al corteo ci siamo noi, i compagni di Peppino, quelli che ancora restano, i compagni storici, custodi di un fuoco sacro che arde da decenni, quelli che con Peppino ci hanno camminato davvero, quelli che hanno visto tutto. Con le facce che sono mappe di una vita di lotta, rughe che raccontano più di mille libri. Con quegli stessi due striscioni che sfilano da 47 anni, consumati dal tempo, ma intatti nella forza. Due striscioni che sanno di pioggia, sole, sangue, tempo. Sempre presenti, puntuali. Resistenti e resilienti.

Le immagini raccontano, testimoniano, ma tra tutte le foto che ho portato a casa con la mia macchina fotografica che quasi tremava nelle mie mani in un istante sospeso nel tempo, Lei, il suo piccolo Re, e alle loro spalle la storia vivente, i volti che hanno sfidato il potere. Click. Un frammento di eternità catturato. Nel mio cuore, non è un ‘immagine, è la Storia che resterà per sempre con me e a cui dedico la copertina di questo racconto fotografico. E’ stata come un’epifania, come una visione inattesa e pur profondamente giusta, eccola. Non un volto noto, non una figura delle cronache, ma una giovane donna, forse poco più di una ragazza e forse ancora presto per esser madre con uno sguardo così saldo. Forse una donna troppo giovane per portare addosso tanta dignità, tutta in silenzio. Con la fierezza indomita delle antiche eroine scolpita nei lineamenti. Sola, nel senso più eroico del termine.

E per me il suo silenzio è stato il grido più potente di tutti.

Era lì, accanto a noi compagni di Peppino come se fosse sempre stata parte di quel 9 maggio, da sempre. Camminava con una forza silenziosa, lenta, costante, solenne, come quella dei miti, dei pellegrini, degli eroi senza nome. Camminava con un bimbo – o una bimba – in braccio, appoggiato sull’anca, ancorato come una radice. O un germoglio di futuro aggrappato alla vita, un bambino piccolissimo, gli occhi spalancati sul mondo, ignaro eppure già partecipe. Piccolo, fragile, vivo, interessato a quel mondo vociante e variopinto. Un bimbo che non ha ancora imparato a camminare ma che già “cammina con noi”. E con la testolina alta. Lei non parlava, non gridava slogan, non portava cartelli, non faceva foto.  Non aveva bandiere. Non cercava applausi. Non cercava sguardi. Solo avanzava con un passo che sembrava conoscere la melodia ancestrale di questa terra, una regina senza corona in marcia con i veterani di mille battaglie. Non uno scambio di parole, ma un’intesa silenziosa, un legame invisibile la univa a quei giganti della memoria che avevano condiviso il pane e il coraggio con Peppino. Camminava, come se sapesse che ogni passo era un atto di resistenza. Che cullare un figlio mentre si porta il peso della memoria è il gesto più rivoluzionario che ci sia.

Camminava. 

A passo lento ma deciso. Come se avesse dentro una missione silenziosa: esserci, senza chiedere niente. Donare, senza farsi vedere.

Non l’ho vista entrare nel corteo, me la sono trovata davanti ad un tratto ed ha fatto l’intero corteo con noi. Si è fermata solo una volta lungo la strada, con la grazia innata di una madre che compie il più sacro dei riti, appartata un istante ma sempre dentro al corteo. Si è appoggiata ad un muretto basso, la coscia come sedile per il piccolo essere, ha tirato fuori un vasetto, un cucchiaino, una mano che accarezza, una bocca che sorride appena e con calma, pazienza e amore ha dato da mangiare l’omogeneizzato al suo piccolo affamato, ha nutrito il futuro. Lei lo imbocca con una pazienza infinita, un sorriso appena accennato sulle labbra. Sul ciglio di quella strada potrebbe crollare il mondo intorno, ma non c’è fretta, non c’è ansia. Quella dedizione è un universo intoccabile. Solo lei, suo figlio, e il rumore del corteo che continua a sfilare poco distante. I compagni storici passano, qualcuno le lancia un’occhiata complice, un cenno del capo. Capiscono. La vita che va avanti, la lotta che si nutre anche di questi gesti. Non è solo rispetto, è la certezza che il testimone è passato, che la fiamma non si è spenta. Pochi istanti, un’eternità. Finito l’omogeneizzato, una pulitina veloce alla bocca con un fazzoletto, e con la stessa determinazione serafica si rialza. Rimette il piccolo sull’anca e, con la stessa determinazione di prima, riprende il suo posto nel cuore pulsante della marcia, senza chiedere permesso alla storia, ma incarnandola. Non una parola, ha proseguito tutta la strada, silenziosa, presente, fino alla fine. Poi la cerco con lo sguardo. La vedo allontanarsi, ancora sola, ancora avvolta in quel suo alone di mistero e forza primordiale. Verso Terrasini, forse, o verso un destino che solo lei conosce. Un nome? Un volto nella folla? No. Era di più. Nessuno sa chi sia. Non un nome, non una storia conosciuta.

E allora ho pensato: 

questa è la marcia più vera. Questa è Peppino che vive, anche lì, dove non ce lo aspetteremmo. In una madre giovane che cammina con noi, con il suo piccolo. Che non fa rumore, ma cambia tutto.

Peppino avrebbe sorriso. 

La madre che cammina. Che nutre. Che non dimentica. Che non si ferma. Nessun nome. Nessun microfono. Nessuna targa.

Eppure… 

tutta la memoria, tutta la rabbia, tutta la bellezza di Peppino… erano in Lei.

In quel gesto, in quella scena, c’era tutto: la fragilità, la forza, il futuro sulle spalle, la memoria nei passi. Un’eredità silenziosa. Un atto politico fatto di carne, di amore, di coraggio. Non ha lasciato un nome. Non ha cercato un applauso. Non ha postato nulla. Eppure, ha detto tutto. Ho pensato che questo era il centro del corteo. 

Il suo cuore. Il suo altare. Era Lei. 

Per me, e forse per chi ha saputo vederla, Lei è stata la marcia. Non il corteo. La marcia.

Quella anonima ragazza che ha camminato con noi con un figlio in braccio e il cuore pieno. In quel gesto c’era tutto ciò che Peppino ha lasciato: non un’eredità da celebrare, ma una vita da continuare. A passi piccoli. Ma veri.  Era la memoria che si fa carne nuova, l’eredità di Peppino che non è solo commemorazione, ma impegno quotidiano, istinto di futuro. Lei non era lì per farsi vedere, non cercava applausi. Era lì perché sentiva di doverci essere. Per sé, per suo figlio, per Peppino. 

Quel bambino, cullato tra le braccia della madre durante un corteo contro la mafia, è la più bella risposta a chi pensava di aver spento la voce di Peppino 47 anni fa. È la dimostrazione che le idee, quelle giuste, camminano su gambe sempre nuove, anche quelle piccole e incerte di un bambino che mangia l’omogeneizzato mentre intorno si urla “la mafia è una valanga di merda!”. Un gesto privato che per me è diventato universale. Una madre, una donna, forse una ragazza, che ha portato nel corteo la più semplice e radicale forma di resistenza: continuare a vivere. E camminare. Anche con un figlio in braccio. Anche nel silenzio. Anche senza nome. E forse, senza saperlo, è stata la cosa più vicina a Peppino che ho incontrato. E forse, in quel passo umile e immortale, Peppino ha camminato con noi. Ancora una volta. Questo è Peppino. Questo siamo noi. Quella donna anonima, oggi, ci ha insegnato che la memoria non sta solo nei discorsi o nei murales. La memoria cammina anche in silenzio. A volte con due gambe. A volte con quattro, quando ne porti un’altra ancora con te.

E questo sarà finché ci sarà anche solo una persona disposta a fare quel cammino.

Questa video lo dedico a lei. Alla mamma sconosciuta del corteo. Simbolo silenzioso di una Sicilia che non si arrende, che cresce i propri figli con il pane, l’amore e il coraggio delle proprie idee. 

Peppino, scommetto che le avrebbe sorriso, magari con una delle sue battute fulminanti, ma con un orgoglio immenso nel cuore. Perché la politica di cui parlava, quella che ci avrebbe salvato, oggi aveva il volto stanco ma determinato di quella giovane madre. E questa è la forza che ci fa tornare qui, ogni anno. 

E’ stata la Continuazione. La promessa sussurrata dal vento. E’ la Sicilia che non si piega, che allatta i suoi figli con il latte della giustizia e il pane del coraggio. Quel bambino, innestato sull’anca della madre che marciava per un compagno che non ha mai conosciuto, è il grido più potente, il poema più struggente. È il futuro che cammina sulle gambe del presente, nutrito dalla memoria del passato.

Oggi il sacrificio di Peppino ha trovato l’altare più sacro: il grembo di una madre coraggiosa, il vagito di un bambino che è già speranza. Lei, l’ignota compagna di questo quarantasettesimo grido, ci ha mostrato che la bellezza della politica, quella che tu cercavi disperatamente, non è un miraggio. È qui, tra noi, e ha la forza di un amore che sfida la morte e il tempo.

Questa foto non è solo un’immagine. È un testamento. È il cuore pulsante di Peppino che batte ancora, forte, nel petto di chi non dimentica e di chi, come questa giovane madre, continua a tessere il filo della speranza.

Finché ci saranno madri così, finché i figli verranno cullati al ritmo dei passi che chiedono giustizia, la mafia avrà perso. E Peppino avrà vinto ancora e sorriderà per sempre.

Paolo Chirco, maggio 2025