La scelta antirevisionista della stragrande maggioranza dei membri di “Musica e Cultura”, pur movendosi su basi emozionali, conteneva in sé i germi di una scelta di campo che sboccava subito dopo nella adesione alle proposte di lotta e di opposizione al compromesso storico di DP, piuttosto che al cartello elettorale di DP. Quello è stato senz’altro il momento più favorevole per far partire un processo di aggregazione politica in termini di proposte politico-organizzativo precise. Non è successo, nonostante il favorevole risultato elettorale a Cinisi, anche perché la sconfitta consumata su scala nazionale precipitava la sinistra rivoluzionaria in uno stato di crisi profonda e contraddizioni laceranti, che a Parco Lambro, subito dopo, troveranno drammatica espressione. La componente politica interna a “Musica e Cultura” ha risentito di questo stato di crisi che si è innestato sulla sua limitata capacità di porsi all’interno del circolo come polo di aggregazione politica, dovuta anche ad una situazione oggettiva esterna caratterizzata da livelli di repressione mafiosa, religiosa, familiare, politica. Uno dei limiti più grossi di tutta l’esperienza di “Musica e Cultura” è da ricercare nel mancato approfondimento del nesso mafia-famiglia-religione e nella incapacità di indicare obiettivi di lotta e di organizzazione specifici. I tre mesi di attività estiva, infatti, confermeranno, da un lato, l’espansione dell’aggregazione e, dall’altro, la difficoltà sempre maggiore ad innescare un processo di politicizzazione. È stato il periodo dei primi tentativi di autocoscienza, del primo spettacolo teatrale femminista e delle prime riunioni del collettivo femminile, della mostra itinerante e di altre esperienze teatrali vissute come esperienze isolate e ancora una volta non precedute da un dibattito su una politica di intervento culturale. E stato il periodo dei Murales, su cui c’è pure stato un minimo di discussione sui contenuti e sul metodo di realizzazione, e del raduno musicale di fine settembre. Riteniamo che una valutazione critica del raduno sia comprensiva di tutta la fase e ci aiuti a capire bene tutti i limiti e le contraddizioni del Circolo “Musica e Cultura”, dalla sua nascita fino a quella data Innanzi tutto è tornato ad essere prevalente il momento musicale: ancora come momento di aggregazione su basi emozionali; poi, l’assoluta incapacità di andare a quella scadenza con un minimo di proposte politiche collettivamente elaborate, pur se delle esigenze in questo senso erano state espresse in sede di preparazione del raduno e che, purtroppo, si traducevano in qualche intervento isolato e personale: temi come disoccupazione, precariato edile e lavoro nero, condizione femminile e repressione familiare non hanno avuto un momento di elaborazione prima e di amplificazione durante il raduno. Contraddizioni e problemi irrisolti È passato, e questa volta in maniera definitiva, un certo modo di intendere e produrre aggregazione: la ricerca, cioè, dell’estensione dei rapporti umani e della comunicazione personale. E proprio a partire da questo terreno prendeva corpo la proposta di un gruppo di autocoscienza (gruppo di studio) che coinvolgeva, di fatto, tutta la struttura ad esclusione della componente politica. Un’esigenza di maggiore comunicazione combinata con una tendenza alla socializzazione dei bisogni, da una parte, e all’instaurazione di rapporti di coppia, dall’altra, è andata a caratterizzare un’esperienza che, durata poco più di due mesi, ha sollevato contraddizioni e problemi notevoli lasciandoli irrisolti. Non si è arrivati, infatti, dopo il fallimento del gruppo di autocoscienza a momenti di dibattito e approfondimento sulla contraddizione uomo-donna, sulla repressione familiare, sul rapporto di coppia, nonostante la proposta di un seminario su “famiglia-repressione-coppia” e un ciclo di proiezioni esclusivamente impostato su questa problematica. Tra gli altri motivi, quello che forse è stato decisivo è da ricercare nel logoramento dei rapporti personali e politici all’interno del circolo. C’è voluto quasi un mese, infatti, per far partire la proposta di un seminario su “classi sociali e mercato del lavoro” e dell’organizzazione di un comitato di disoccupati. Ancora un fallimento dovuto, senza alcun dubbio, al tipo di aggregazione che ci ha sempre caratterizzati e alla contraddizione tra lavoro manuale ed intellettuale vissuta da quei compagni su cui doveva marciare la proposta stessa. Da quel momento si entrava nella fase in cui prevaleva la tendenza all’espansione dei rapporti personali che, dal 31 dicembre a tutto il carnevale e fino a giugno, doveva paralizzare ogni attività del circolo ed ogni possibilità di fuoriuscita nel sociale. L’esigenza di continuare l’esperienza del 31 dicembre in termini di “star bene insieme”, di evitare momenti di disgregazione che il carnevale avrebbe prodotto all’interno della struttura, di tentare il recupero della tradizione popolare in termini di “festa collettiva” e di produzione musicale e teatrale autonoma, l’esigenza di vivere il rapporto uomo-donna in maniera diversa, a partire anche da una diversa interpretazione e considerazione del ballo e della festa, l’esigenza infine di dimostrare all’esterno di esser capaci di una gestione economica condusse alla scelta, quasi unanime, di trasformare la struttura e di aprirla all’euforia carnevalesca. Nessuna delle motivazioni iniziali ha avuto riscontro positivo all’interno della festa: la disgregazione che tanto si voleva evitare ha trovato un terreno di coltura estremamente favorevole, in quanto ognuno se la trascinava dietro assieme al suo individualismo ed alla sua solitudine; il recupero della tradizione è andato a farsi fottere sia sul piano della produzione autonoma, sommerso da un’ondata di spontaneismo forzato, sia sul piano del ballo collettivo, che spesso è divenuto momento pessimistico-orgiastico ed autodistruttivo; il “modo diverso di vivere ed intendere il rapporto uomo-donna” non c’è stato perché, riteniamo, prevalente sia stata la tendenza ad esorcizzare il problema con l’introduzione di mistificazioni sulla emarginazione, vista dove non c’era e non presa in considerazione dove esisteva realmente: sì, è vero, non ci sono state manifestazioni appariscenti di gallismo, se non per introduzione esterna, ma il fondo del rapporto uomo-donna è rimasto quello tradizionalmente battuto sia per precarietà di critica femminista, sia, di conseguenza, per scarsa disponibilità di tutti, in particolare del soggetto maschile, a mettersi in discussione; ancora una volta il tipo di aggregazione che ci ha caratterizzati ci ha fottuti. Gli unici aspetti positivi del carnevale sono stati la gestione economica, veramente alternativa, della festa e le due uscite esterne se viste come tentativi di riappropriazione di uno spazio: si è riusciti, di fatto, a riprendere la strada, ma in maniera non politica, non eversiva, nonostante esistesse la possibilità di farlo e qualche proposta in questa direzione venisse avanzata. Il problema del fumo E su questo sfondo di contraddizioni e problemi irrisolti, o addirittura non affrontati, si è innestata e sviluppata la contraddizione del fumo, che, visto come strumento di comunicazione, si diffondeva immediatamente investendo una parte considerevole della struttura: il circuito delle contraddizioni era tale e talmente drammatico, così come l’aspirazione a fuoriuscirne, che qualsiasi mezzo veniva subito accettato e spacciato per buono, quindi ideologizzato. Il fumo, inserito in questo contesto di mancata comunicazione, se non a livelli minimi e con scarsi fondamenti politico-culturali, ha funzionato, e non poteva essere altrimenti, come moltiplicatore di disgregazione ed emarginazione. L’episodio dell’assemblea notturna è stato emblematico di tutto quel periodo: la radiografia del circolo “Musica e Cultura”. Una cinquantina di coscienze si sono agitate e dibattute tra quelle pareti a vuoto e per un’intera notte: una situazione da processo kafkiano dove esistevano solo le imputazioni senza accusati: in realtà eravamo tutti accusati ed accusatori. Le lotte studentesche e le occupazioni degli atenei di quei mesi, d’altra parte, venivano vissute molto di riflesso: creavano situazioni di partecipazione a livello cittadino, ma all’interno della struttura producevano soltanto momenti di discussione sporadici, marginali e dalla mezzanotte in poi. {jcomments off}