umberto santino

umberto santino

 

Umberto Santino Presidente Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe ImpastatoCentro Impastato

Sulla proroga dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini per l’assassinio di Peppino Impastato

La notizia che il gip Maria Pino ha deciso di prorogare di sei mesi l’inchiesta sul depistaggio delle indagini per l’assassinio di Peppino Impastato offre l’occasione per fare il punto sullo stato dei lavori. I mandanti dell’assassinio di Peppino, i capimafia Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, sono stati condannati rispettivamente a 30 anni di carcere, il 5 marzo 2001, dopo un processo con rito abbreviato, e all’ergastolo, l’11 aprile 2002, con un processo in videoconferenza. Successivamente Badalamenti e Palazzolo sono deceduti. Nell’ottobre del 1998, su sollecitazione del Centro Impastato, presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un comitato “allo scopo di condurre una approfondita indagine sulle vicende connesse alla morte di Giuseppe Impastato” e nel dicembre del 2000 la Commissione ha approvato una relazione sul depistaggio delle indagini che, per iniziativa del Centro Impastato, è stata pubblicata più volte nel volume Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio. Le prime due edizioni, presso gli Editori Riuniti, sono del 2001 e del 2006, la terza edizione, presso Editori Riuniti University Press, è del 2012. Nell’aprile del 2011 la procura di Palermo riapriva l’inchiesta sul depistaggio.

Come rappresentante del Centro Impastato, il 23 maggio dello stesso anno inviavo una lettera alla Procura in cui scrivevo che il Centro era fortemente interessato a una “ricostruzione completa dei fatti e delle responsabilità” e richiamavo due punti fermi: la condanna dei mandanti del delitto e la relazione sul depistaggio. E a proposito di depistaggio sottolineavo che erano già stati individuati come principali responsabili il procuratore capo del tempo Gaetano Martorana e l’allora maggiore dei carabinieri Antonio Subranni. Riportavo il testo del fonogramma redatto dal procuratore la mattina del 9 maggio 1978, in cui si parlava di “Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda” e si ricostruiva così l’accaduto: “Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978, persona (…) identificata in tale Impastato Giuseppe (…) si recava a bordo della propria autovettura (…) all’altezza del km 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore”. Nasceva così la pista dell’attentato terroristico e il ritrovamento successivo di una lettera di Peppino Impastato in cui manifestava propositi suicidi, che rimontava a parecchi mesi prima, presumibilmente al novembre del 1977, completava la ricostruzione: un attentatore-suicida.

Contro questa ricostruzione i familiari, i compagni di militanza di Peppino, il Centro siciliano di documentazione operante dal 1977, si attivavano per smantellarla, indicando la matrice mafiosa del delitto. La nuova inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal sostituto Francesco Del Bene, mirava ad accertare le responsabilità di Antonio Subranni, generale in pensione, per favoreggiamento, e di Carmelo Canale, allora brigadiere e successivamente tenente colonnello, per falso. Tra i risultati della nuova attività investigativa il reperimento dell’allora casellante, Provvidenza Vitale, data per irreperibile, ma nel novembre del 2012 la procura decideva di archiviare le indagini per prescrizione. In un comunicato del Centro prendevo atto della decisione ma osservavo che, trattandosi di un depistaggio delle indagini per un omicidio, non si sarebbe dovuto ricorrere alla prescrizione. L’ex generale Subranni dichiarava che non intendeva avvalersene. Successivamente il gip Maria Pino decideva di non accogliere la richiesta della procura e di lasciare aperta l’indagine. Nei giorni scorsi ha deciso una proroga di altri sei mesi. Tra le vicende da accertare c’è il cosiddetto “sequestro informale” (cioè illecito) di materiale a suo tempo sequestrato presso la casa della zia Fara, da cui abitava Peppino, e presso la casa della madre. Di queste materiali non si è saputo più nulla. Si è parlato di una cartella contenente documenti sull’assassinio dei carabinieri Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo nella casermetta di Alcamo Marina, del 27 gennaio 1976. Una vicenda riemersa in seguito alle dichiarazioni di un ex carabiniere che ha detto che le confessione degli incriminati erano state estorte con la tortura.

Le dichiarazioni hanno portato alla liberazione di Giuseppe Gulotta, condannato all’ergastolo. Tra le carte che abbiamo potuto recuperare c’è un volantino, a firma Lotta continua, del 31 gennaio, in cui si dà un giudizio durissimo sulle perquisizioni dei carabinieri nelle case di militanti del Pci e della sinistra rivoluzionaria, alla ricerca di fantomatiche Brigate rosse. Nel documento, certamente di mano di Peppino, si parla di stato d’assedio, si sottolinea che in quella zona opera la mafia e che il “terrorismo politico in Sicilia ha sempre avuto una matrice chiaramente fascista”. Si legge ancora: “Ma la mafia non c’entra, dicono i carabinieri, bisogna cercare a sinistra” e “da piazza Fontana all’eccidio di Alcamo corre un filo unico di provocazione e di sangue”. Siamo nel 1976, Peppino e il suo gruppo sono contrarissimi alla lotta armata, che considerano un’espropriazione della lotta popolare, ma denunciano che la lotta al terrorismo minaccia di risolversi nella criminalizzazione della sinistra. In quel clima maturerà la scelta dei mafiosi di far passare l’assassinio di Peppino per un atto terroristico. Non hanno previsto la scelta antimafiosa dei familiari, la tenuta dei compagni di militanza, l’impegno del Centro siciliano di documentazione. Non so cosa potranno fare gli investigatori nei prossimi mesi. Quel che è certo è che daremo il nostro contributo al pieno accertamento della verità., come abbiamo fatto in tutti questi anni.

 

Pubblicato su “Repubblica Palermo” del 14 gennaio 2015, con il titolo: Perché serve scoprire chi depistò su Impastato.

 

{jcomments on}