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Ci uniamo a quanti in questi giorni chiedono la revoca del 41 bis per Alfredo Cospito, in primo luogo perché la sua vita è seriamente a rischio in seguito allo sciopero della fame che sta praticando da più di 100 giorni, per protestare contro il regime a cui è stato sottoposto (41 bis ed ergastolo ostativo). Riteniamo che uno Stato civile e democratico non debba agire con spirito vendicativo, ma tutelare la vita e la dignità delle persone che sono sottoposte alla carcerazione, questo lo chiede la nostra Costituzione. Chiediamo di non fare di questo singolo caso il simbolo di un dibattito (importante e delicato) su temi quali il 41 bis o l’ergastolo ostativo; riteniamo prioritario che ci si concentri direttamente su questa particolare vicenda senza renderla un caso esemplare all’interno di uno scontro politico. Cospito, per i reati commessi, deve scontare la giusta pena, il 41 bis, non volendoci sostituire ai Giudici di cui rispettiamo le decisioni (pur mantenendo il nostro spirito critico), appare sproporzionato; questa misura è stata introdotta nel nostro ordinamento per neutralizzare la pericolosità di detenuti che, in virtù dei legami con le associazioni criminali di appartenenza, sono in grado di continuare a delinquere dal carcere. Sappiamo ad esempio che i mafiosi possono essere in grado di comunicare e comandare anche dal carcere, non ci sembra il caso di Cospito che, pur avendo commesso gravi reati, non è il capo di un’associazione criminale (gli anarchici non concepiscono un’organizzazione verticista), e non può essere paragonato a personaggi che attualmente si trovano dentro (dopo lunghe latitanze) o fuori dal carcere, come Brusca, libero dopo 25 anni di carcere, in quanto collaboratore di giustizia, essendo stato condannato per aver ucciso centinaia persone, tra cui uomini e donne di Stato, ed anche un bambino.
Chiediamo che nel caso Cospito si agisca con coraggio e umanità al fine di salvaguardargli la vita, contemporaneamente chiediamo di riflettere sulla necessità di una riforma della Giustizia e sulle parole di Umberto Santino fondatore del Centro Impastato: “il problema è che la pena detentiva dovrebbe “tendere alla rieducazione del condannato (art. 27 della Costituzione) ma questo non accade non solo per i mafiosi ma per tutti i detenuti. E’ uno dei tanti articoli rimasti sulla carta della nostra Costituzione, che non è “la più bella del mondo” ma la più disapplicata.“

Casa Memoria Impastato