Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, uno dei maggiori intellettuali del secolo scorso, che per Peppino Impastato rappresentava un grande punto di riferimento teorico e politico.

Come abbiamo fatto per Sciascia, vorremmo organizzare alcune iniziative per ricordarlo. Intanto come primo omaggio pubblichiamo il testo “Mafia e Cultura Contadina. Anche da noi sono scomparse le lucciole…” di Giovanni Impastato, tratto dal libro La Memoria e l’Arte – CMI Edizioni (anno 2014), ispirato all’articolo “Il vuoto del potere ovvero l’articolo delle lucciole di Pier Paolo Pasolini dal “Corriere della sera” del 1° febbraio 1975.

Mafia e Cultura Contadina. Anche da noi sono scomparse le lucciole…

Sono appena passati cinquant’anni, Munachelli era una contrada di Cinisi, si trovava nella parte ovest del paese, zona agricola come tutte le altre, in maggioranza limoneto. Allora si poteva dire che quasi tutta la zona era di proprietà dello zio Cesare Manzella, saltato in aria in un attentato mafioso nell’aprile del ’63 nella sua tenuta. Dopo tutto questo tempo mi ritengo fortunato se ho conservato nella mia mente quei lontani ricordi, in particolare quelli della vita vissuta dalla nostra famiglia nella stessa tenuta a contatto con la mafia e la natura, due cose che dovrebbero stare lontane, invece in quella realtà riuscivano a fondersi e a stare assieme. La cosa sorprendente è che Peppino (lui non mancava mai, aveva cinque anni in più rispetto a me) e io, oltre a subire fin d’allora, nell’età dell’infanzia e della prima adolescenza, l’educazione di un codice d’onore basato sui principi imposti dalla mafia, nello stesso tempo siamo pure riusciti a respirare un’aria diversa, basata sui valori di una cultura contadina.

 Il contatto con i contadini per noi è stato fondamentale, in particolare con “Fulippu perdi l’annata” (ucciso assieme allo zio). Mia madre gli voleva tanto bene e spesse volte, quando avveniva qualche fatto spiacevole o qualche diverbio con lo zio Cesare, si rivolgeva sempre a lei che lo difendeva tantissimo. Per non parlare di “Cicciu Pussicchiu”, responsabile vaccaro-contadino tuttofare, che provvedeva all’erbaggio delle pecore e delle vacche. Ogni mattina presto era lui che ci faceva trovare sulla finestra della nostra casa il latte appena munto. All’ora di pranzo io e Peppino spesse volte scappavamo dalla nostra casa per andarci a sedere con loro sotto gli alberi , assieme agli uomini della ciurma, che erano l’arrimunnatura (i potatori), per consumare assieme le delizie del mezzogiorno nella pausa lavoro. Salsiccia secca, pecorino, acciughe, caciocavallo, caponata fresca, cipolle scalogne e tante altre cose.

 Il ricordo dello zio “Jacuzzu U Baruni”, fratello maggiore di mio padre e di mio zio Giuseppe, detto “Sputafuoco”, mi suscita ancora oggi una grande emozione. Jacuzzu era un uomo che amava tantissimo le sue bestie, in particolare le mucche, sempre sporco dal lavoro e spesse volte veniva isolato e deriso dai suoi fratelli e dallo zio Cesare. Non aveva niente a che fare con la mafia, la sua passione era la campagna; con tenerezza lo ricordo quando nei caldi pomeriggi d’estate dormiva nella icchena (sedile in pietra) della stalla. Qualche volta io e Peppino lo svegliavamo e lui non perdeva mai la pazienza, anzi non ci faceva mai mancare i fichi d’india di “scozzula” (frutto della seconda fioritura, più gustoso) e l’amureddi (le more).

Con Luciano Liggio…

Nello stesso tempo giocavamo con uno dei più grandi boss del secolo precedente, che si chiamava Luciano Liggio, latitante nella tenuta dello zio; è stata nostra madre dopo tanto tempo a rivelarci il nome di quell’uomo misterioso. Al contrario di Jacuzzu, mio padre e Sputafuoco avevano un ruolo importante, controllavano e vigilavano su tutto quello che avveniva attorno alla tenuta. La cosa che ci ha colpito tantissimo sempre in quel periodo, è stato il trasferimento per alcuni giorni a Contessa Entellina nelle proprietà dell’onorevole Pecoraro (notabile democristiano cognato del ministro Restivo), organizzato da Sputafuoco che era il gabbelloto. Dopo qualche giorno viene commesso nella piazza di Cinisi un duplice omicidio, il mandante del quale (ma questo lo venimmo a sapere dopo) era proprio lo zio Cesare. Sotto i colpi sparati a raffica caddero Salvatore Mazzola e Giacomo Palazzolo, due mafiosi che, a quanto pare, si erano schierati con i La Barbera, contrariamente alla volontà della cosca di Cinisi che appoggiava i Greco. Qualche mese dopo ci fu l’attentato a nostro zio.

 Prima della morte dello zio e del viaggio della nostra famiglia a Contessa Entellina andava tutto bene, difficile dimenticare l’affetto di nostro padre, dello zio Cesare e di tutte le persone che nella tenuta giravano attorno a noi e non ci facevano mancare nulla. Per non parlare del paesaggio e della splendida natura e del rapporto con gli animali, che per noi era un gioco. I nostri trofei erano le rane viscide e lippose (vischiose) che ti scappavano dalle mani e le lucertole, facevamo a gara chi ne catturava di più con il cappio col filo d’avena, e poi si liberavano. E poi l’addiccaturi (la trappola) con le reti per catturare gli uccelli. Un mondo meraviglioso e pieno di contraddizioni, con i suoi colori, con i suoi sapori, con i suoi oggetti, con i suoi sogni, con le sue fatiche e i suoi dolori.

Le lucciole a Munachelli

Una cosa che mi è rimasta impressa è stata lo splendore delle lucciole. Non riuscivo a capire come mai alla calata delle tenebre nelle notte buie senza la luna e con un cielo nero illuminato dalle stelle, spuntavano questi insetti luminosi; ricordo che mia madre li chiamava “i bussichi”. Si piazzavano nei cespugli attorno alla grande grotta di Munachelli, nei muri in pietra, e ti toglievano la misteriosa paura del buio.

 Purtroppo oggi le nuove generazioni non possono godere di questo meraviglioso spettacolo perché le lucciole da molto tempo sono scomparse, per tutta una serie di moti116

vi legati principalmente alle varie forme di inquinamento, soprattutto quello luminoso. Oggi difficilmente riusciamo in piena notte a vedere il buio e il cielo, sembra sempre giorno. Una vera tristezza! Pasolini considerava questa scomparsa “una catastrofe antropologica e un genocidio culturale”. Aveva perfettamente ragione. Purtroppo tutto ciò è finito, in una rapida evoluzione, di cui tutti siamo fieri e ci vantiamo di quello che abbiamo oggi: due partite di calcio al giorno, a parte la domenica, con le scommesse one-line, lo sky, Facebook, due telefonini a testa, Il grande fratello, Porta a Porta, L’isola dei famosi, la De Filippi ecc. 

                Non abbiamo il tempo di guardarci

attorno, stiamo perdendo ogni forma di entusiasmo e di interesse per quello che succede nel mondo vicino e lontano da noi. Tutto si lega ad uno sfrenato consumismo che è un vero furto a noi stessi, che ha distrutto ogni forma di semplicità e di dolcezza e nello stesso tempo ci ha fatto entrare in una fase di rassegnazione totale. Sempre Pasolini nel famoso articolo pubblicato sul Corriere della Sera nel ’75, sosteneva che la scomparsa delle lucciole coincideva con la scomparsa di una cultura contadina, che ci ha portato al degrado totale sotto ogni aspetto. Nel caso nostro purtroppo è andata via la cultura contadina, però la cultura mafiosa è rimasta. E tuttavia non vogliamo arrenderci a dimenticare.

Dopo l’assassinio di zio Cesare.

Le prime lotte e le prime sconfitte

E non ci siamo affatto arresi, abbiamo deciso di lottare. Infatti dopo la strage di Munachelli dove sono morti lo zio Cesare, Fulippu e il cane, ci siamo resi subito conto che qualcosa stava cambiando e che bisognava difendere quello che ci stavano togliendo, la natura e la bellezza del nostro territorio, (come nel caso del Mulinazzu) e nello stesso tempo abbiamo capito cosa era realmente la mafia. Nel giro di qualche anno, dopo il giornale “L’Idea” e la rottura storica e culturale di Peppino che conosciamo benissimo, sono le battaglie sociali in particolare quelle contro l’esproprio dei terreni per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi, che ci danno lo slancio per realizzare un percorso di impegno politico e civile, contro l’allora regime democristiano, contro un compromesso storico portato avanti dal PCI proprio con la DC. che garantiva precisi interessi e rappresentava la mafia in Sicilia. Da questo punto di vista Peppino aveva le idee chiare, infatti lui sosteneva che “Il gruppo dirigente democristiano nello scacchiere politico locale, come su quello nazionale, si pone come un’associazione di tipo mafioso, non solo e non tanto per le convergenze di mafia e di clientele parassitarie che è riuscito ad aggregare attorno a sè, quanto per il modo stesso, banditesco e truffaldino di concepire il potere”.  Subito iniziano le prime sconfitte, frutto di tradimenti e compromessi. Peppino i suoi compagni e i contadini venivano lasciati soli. “…Di quelli che eravamo in quei giorni siamo rimasti in pochi, espropriati non solo della terra, ma della stessa vita, spinti a guardarci in faccia senza riconoscerci se non come spettri di un sistema che parla di libertà e non sa nemmeno dove stia di casa la democrazia…”  (Salvo Vitale, in Dieci anni di lotta contro la mafia, bollettino de Centro siciliano di documentazione, successivamente intitolato a Peppino). Quel movimento di contadini viene spazzato via con le complicità istituzionali e del partito di opposizione di sinistra che era il PCI. Non è bastato l’arresto di Franco Maniaci, un loro dirigente locale, che lottava in prima fila con Peppino, a far cambiare la loro idea basata sull’accordo con il potere di allora che mandava alla rovina quei poveri contadini. Successivamente tutto si è appiattito nel modo peggiore. Per molti anni l’unica vera opposizione nel nostro paese è stata quella di Peppino e dei suoi compagni, con una intensa attività politica, con forme di lotta alternative sul territorio, con le denunce pubbliche contro le amministrazioni colluse e con lo scontro diretto con la mafia, di fronte ad una classe politica incapace di esprimere qualcosa di positivo, portando alla deriva un paese come il nostro.

Le battaglie di oggi e la bellezza distrutta

La stessa cosa si sta verificando oggi. Infatti le battaglie di allora che portava avanti Peppino e i suoi compagni per la difesa del territorio, sono di un’attualità impressionante. Non a caso i movimenti presenti oggi si basano sugli stessi obiettivi. I No-Tav, i NoMuos, i  No-Global e i movimenti antimafia.

Purtroppo il crimine è stato commesso con la distruzione della bellezza del nostro territorio. Ed oggi ci troviamo di fronte a veri disastri ambientali e culturali a cui difficilmente riusciremo a far fronte. La bruttezza e lo scempio hanno dominato per più di mezzo secolo senza nessun rispetto per il nostro patrimonio storico e culturale.

 Le Torri (Orsa- Mulinazzo-Pozzillo) sono esposte a tanti rischi per il totale abbandono, tutt’oggi senza un minimo di protezione. La casa di Giovanni Meli (poeta dialettale del ’700 che per un periodo della sua vita ha vissuto a Cinisi) abbandonata, degradata, finita in mano a dei privati, non si riconosce più. La famosa Tonnara dell’Orsa, restaurata con uno spreco di soldi pubblici e poi lasciata nel totale degrado, sembra una discarica e sta cadendo a pezzi. Le nostre coste non sono state protette dal saccheggio e dalla speculazione mafiosa. Le nostre montagne sventrate dalle cave. Per non parlare delle zone di villeggiatura, compreso il mare, che potrebbero essere dei luoghi di attrazione turistica sono stati ridotti peggio di un letamaio con montagne di spazzatura e con rischi per la nostra salute.

C’era una volta il Mulinazzo…

Come possiamo constatare, il crimine non è avvenuto solo col Mulinazzo. “Una storia come tante, questa del Mulinazzo, una storia minore e amara che non troverà spazio nei libri della Storia ufficiale. Ma non c’importa. Il Mulinazzo e la sua gente sono già nella nostra memoria storica. Forse sono già mito. Un giorno racconteremo ai nostri figli la leggenda della terra che non c’è: C’era una volta il Mulinazzo…”  (Pino Manzella). 

 Nel giro di poco tempo, dal ’63 al ’68, sono passati cinque anni dall’esperienza umana e dalla tragedia di Munachelli che ci ha sconvolto, per assistere alla scomparsa totale della civiltà contadina. D’altra parte dai ricordi e delle esperienze infantili rimaste inalterate nella memoria, per noi esistono due realtà nettamente distinte che si legano fra di loro:Munachelli e il Mulinazzo, realtà che abbiamo vissuto e che sicuramente ci hanno aiutato a crescere e ci hanno fatto capire che la cultura mafiosa non è stata sconfitta. Così come nello stesso tempo la cultura del compromesso e dell’arroganza regna su di noi ancora oggi a distanza di quasi quarant’anni da quando Pier Paolo Pasolini scriveva quel famosissimo ed attualissimo articolo sulla scomparsa delle lucciole che noi vi riproponiamo. L’articolo si concludeva così: “Darei l’intera Montedison per una lucciola”.

Nel nostro caso sarebbe giusto concludere che daremmo “l’intero aeroporto di P. Raisi con tutti i suoi aerei per una lucciola”.

Giovanni Impastato